Ernest Cœurderoy (1825-1862) è stato uno scrittore francese e un militante anarchico morto suicida.
“Il vero re di Spagna è l’uomo che sa affondare meglio la lunga spada tra le spalle della bestia; il vero trono è il cadavere del toro”.
Fa bene leggere un testo del genere. In bilico tra riflessione politica e lettura etnografica. Fa bene perché è un’elogio della complessità in giorni di appiattimento critico. L’animalismo militante, molto spesso urlato, molto spesso attraversato da derive fasciste e neonaziste, il sentimentalismo emozionato, sembrano il nuovo ordine politicamente corretto. Anche tra gli anarchici di oggi, per i quali la corrida è in automatico una mostruosità esecrabile. Ecco allora uno scrittore anarchico che non si schiera se non sul terreno sdrucciolevole del capire prima di tutto.
“Non mi piace parlare delle cose se non le conosco. Dal momento che volevo scrivere sulle corse dei tori, ho dovuto vederne molte durante il mio soggiorno in Spagna”.
Semplice no? Non tanto. Ci vuole coraggio. Perché l’anarchia non è soltanto lo spauracchio oscuro che si sventola per richiamare all’ordine. L’anarchia è un’abitudine cognitiva, un grimaldello da usare prima di tutto su se stessi, sui propri confortevoli pregiudizi.
Ernest Cœurderoy, De la corrida, L’Herne 2007, 64 pp., 9,50 euro, ISBN 9-782851-978462.