Cenere

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1837
(ph) Laurent Larrieu/Campos y Ruedos

Mio padre diceva che la ragione per cui si vive
è per prepararsi ad essere morti

William Faulkner – Mentre morivo


 

Iván Fandiño oggi è cenere.

Un mucchietto di materia soffice, nerastra e oscena.
Chiuso in un’urna triste, chiuso lì per sempre, chiuso, che era stato uomo libero e torero di libertà.
A bruciarlo è stato il corno destro di Provechito, che prima l’ha scavato, poi violentato e infine fatto grigio.
In quelle foto caravaggesche Iván Fandiño è grigio, inevitabilmente grigio, grigio come la vita che se ne va.
Il nero è per la vita che già non c’è più. Nere sono le lacrime di Cayetana.
Nera è la cenere.

Iván Fandiño oggi è cenere e nient’altro più.
Nient’altro più ha senso dire.

O forse no, una cosa ancora.
Mara era già a galleggiare nel ventre caldo della mamma quel 29 marzo, quel giorno in cui tutti ci facemmo comunione e tutti provammo la vertigine della grandezza e l’abisso nella caduta. Quel giorno di primavera castigliana, quel giorno in cui un uomo fu grande come solo i grandi hanno la sfrontatezza di essere, per l’assoluto delle lacrime e per lo zenit del coraggio, Mara c’era. Già era con lui. Nella muleta schiaffata in mezzo alle corna del primo e di tutti quelli dopo, per due anni.
Non sarà più in quella stoffa rossa, Mara, starà per sempre nei pensieri caldi e commossi dell’aficion.
Nei miei.

Va por ti Mara.

Gloria eterna, torero.

 

(originariamente pubblicato su Campos y Ruedos)

1 COMMENTO

  1. Non è sempre vero che il peggio è per chi va via.
    La compassione di Ronda per chi rimane è quella di un padre, che non vorrebbe ma sa immaginare il vuoto.
    È’ anche la mia.
    Bravo e bravi tutti

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