Il volto tetro di Adolfo Martin a fine corsa, solo e mesto a sbucare dalle assi del contropista, basterebbe a sé per articolare la cronaca del pomeriggio. Triste chiusura di una feria de Otoño che pure aveva fornito succosi argomenti per animare le abitualmente vivaci discussioni nei locali di calle Bocangel e dintorni: la disposizione di Román di fronte a un encierro senza classe di Fuente Ymbro, l’epico passaggio su quella sabbia di Paco Ureña al venerdì, il trionfo hard discount di Perera alla vigilia.
Il punto finale al ciclo era dunque affidato alla divisa rossoverde che a Madrid ha inviato ieri un lotto di magnifica presentazione: sfacciatamente asaltillados, omogenei alla bilancia, di pregevole fattura con il solo bemolle di qualche disordine all’anagrafe (con il sesto venuto alla luce quando Jardinero, il quinto del giorno, pascolava nelle praterie fuori Caceres da ormai un anno e mezzo). Gran carrozzeria dunque, ma del motore nessuna traccia: fatta eccezione per il quinto, di cui diremo, gli Adolfo di ieri hanno messo a dura prova la pazienza dei ventimila e più spettatori, annoiati da un lotto a cui mancava tutto, casta, bravura, carica, forza. Petardo sonoro.
Juan Bautista chiudeva proprio a Las Ventas una stagione memorabile, il torero arlesiano è all”apice della sua carriera e ieri ha fatto mostra delle qualità migliori della maturità: sicurezza, tecnica, scienza. Toreo corto e sobrio da sempre il suo, e pure il galleo con cui ha messo in suerte Madroño, il primo del pomeriggio, ha illusoriamente convinto il pubblico che ci sarebbe stata emozione e corrida. Né l’una né l’altra. Tentativo di recibiendo al termine di una faena discontinua con qualche momento di nota (un passo del petto monumentale, una serie di naturali con la destra) e poi tracollo con le lame. Il lavoro squisitamente tecnico servito a Malagueño, un toraccio con il vizio di tenere la testa alta, non poteva certo entusiasmare il pubblico e raffreddava ulteriormente l’animo del torero che affrontava Jardinero, il penultimo, senza troppa convinzione. Peccato perché del sestetto questo oscuro animale era senza dubbio il migliore e soprattutto il più esigente, con qualità non cristalline eppure certe che occorreva andare a cercare in profondità: il ragazzotto chiedeva dominio, ma trovava quasi subito monotonia. Spada, descabello, fischi.
Paco Ureña ha un cuore grande come tutta l’arena di calle Alcalà e infatti tutta l’arena di calle Alcalà ha nel cuore questo murciano secco e dall’aria malinconica: la purezza con cui si colloca tra le corna del toro, i piedi uniti, forzando all’inverosimile la cintura ha del miracolo in tempi di menzogne, commuove, rapisce. Il secondo del pomeriggio entra con allegria nel cavallo ma subito perde interesse e di fatto si lascia crudo al termine del primo atto: il lavoro con la muleta illude al suo inizio (ginocchio piegato in un paio di doblones di comando, poi due serie a destra di alta nota), ma presto si rassegna alle indisposizioni di Horquillero, che piano piano si chiude e si riserva. Rimarranno quelle immagini di un torero perfettamente nell’asse delle corna, le scarpette inchiodate nella sabbia, perpendicolare, puro come una goccia d’acqua di una sorgente alpina: nessuno oggi torea con tanta sincerità. Saluto al tercio per lui dopo una spada non perfetta. Le smisurate corna di Aviadoro, in quarta posizione, animeranno gli incubi di cuadriglia e maestro per tutto l’inverno: dopo aver ignorato il gruppo equestre, il toro durante la faena si appesantirà fino a rendere impraticabile il confronto. Grande sentimento di Ureña che compensava la pochezza dell’unico negro con un’attitudine disinteressata e commovente. Questo pomeriggio grigio piombo si chiudeva finalmente con la lama che il nostro infilava rabbiosamente in Tomatillo, estoconazo al termine di una faena fatta di passi strappati e chiusa tra le sciabole dell’animale.
Uomini di gran lunga al di sopra dei loro avversari in questo pomeriggio, e quando in pista ci sono le bestie di Adolfo Martin o si tratta di una corrida storica o si tratta di una catastrofe. Non è stata una corrida storica.
Triste.
Madrid, 1° ottobre 2017. Sei tori di Adolfo Martin di presentazione impeccabile ma senza alcuna qualità, fatta eccezione per il quinto, esigente. Juan Bautista: silenzio, silenzio, fischi; Paco Ureña ovazione con saluto, applausi, saluto.