Come si fa a diventare Morantisti? Non si fa, non si diventa: lo si è.
E cosa vuol dire essere morantisti? C’è una base di presunzione, forse, ma anche la consapevolezza di essere uniti da un legame invisibile a questo genio assoluto della tauromachia.
Vederlo in combattimento, e rendersi conto, una volta di più, e sempre di più, non di cosa faceva, ma del perché lo faceva…
Si parla ormai al passato, perché – lo sappiamo – Morante ha chiuso, si è tagliato il codino, lo ha sfilato, lo ha tolto, sì, ma Morante, Morante è per sempre.
Seguivo già i tori da qualche anno, ma i primi tempi sono nebulosi per l’appassionato che si sta creando: i nomi dei toreri si confondono, ti focalizzi sui primi che vedi, Puerto, Padilla, poi Ponce, vai alla corrida dall’Italia quando puoi, chi c’è c’è, poi in tv guardi quello che ti fanno vedere. Ma questo Morante…un nome che veniva via via mormorato, quasi sottovoce, e subito si capiva che non si parlava di uno qualsiasi. Poi, un giorno, un solitario a Madrid, nel 2004, Morante davanti a sei animali, un disastro annunciato. Come la cavalleria polacca che si lanciò contro i panzer della Wermacht, nessuna speranza di salvezza, un atto di eroismo folle e incomprensibile. Quell’anno, di Morante non si sentì più parlare, se non di cure psichiatriche e di elettroshock, in quella invasione classica della sfera privata e personale che aggredisce il personaggio pubblico, anche se in questo caso, probabilmente, fu solo un sincero tentativo, per quanto impossibile, di portare aiuto o conforto o solidarietà al torero fragile e meraviglioso, da parte del piccolo mondo taurino.
Poi, improvvisamente, Morante tornò. Ricordo che lo vidi in tv: una straordinaria faena da Espartinas, inaugurazione della piazza, insieme alla mia povera mamma. Mi trovai come ipnotizzato, forse era la musica, o il ralenti…”chi è?”. “È Morante, mamma”. Bastò questo. Quando si parla di Morante basta il nome. E a Jerez, pochi mesi dopo, potei inserire un altro piccolo tassello del puzzle. Capii cosa vuol dire essere, probabilmente, il più grande di sempre con la cappa. Fu quando, durante quei passaggi di incomparabile bellezza e armonia, un aficionado disse, sentito da tutti, nel silenzio dei bién e olé…”me muero”. Muoio. 6 toros 6 uscì con lui in copertina: “il sogno di Morante”. Ne comprai 12 copie, e le regalai a tutti i miei amici senesi. Quello fu il primo punto fermo.
Non sto qui a ripercorrerne per intero la carriera. Altri lo hanno fatto e lo faranno. Alcuni scriveranno libri. Io devo solo ricostruire, in poche parole, il legame.
La prima volta che lo vidi dal vivo fu a Madrid, nel 2006. Era il 6/6/06. Numeri. Numeri di una corrida terribile, il tendido7 (altro numero) impazzito che chiedeva sempre cambi di tori, 9 tori in tutto (altro numero), non andavano bene, fazzoletti verdi, verde speranza, solo verde, verde, verde. Il toro di Morante uscì aggressivo, difficile, forte. Il suo combattimento fu perfetto. Usò quasi solamente la mano sinistra, il suo fantastico passaggio al naturale, il toro era buono da quel lato. Un trofeo meritato, contestato, epico. Anche lì, in una bolgia non voluta né cercata, non si tirò indietro, poteva farlo, ma vide in quel toro ciò che pochissimi, forse, avevano visto.
Tanti gli episodi cui ho assistito e che mi hanno fatto riflettere non solo per quello che faceva, ma spesso per quello che dicevano di lui, anche tra il pubblico, nel sentito dire. Il famoso confronto con il Cid affrontando i tori di Victorino Martín. Una corrida deludente, ma il ricordo dei 12 passaggi di cappa al toro grigio, portato dai margini fino al centro dell’area, è indelebile. Proprio in quella corrida, lo vidi iniziare quel percorso di reminiscenza e recupero del toreo antico, con veroniche pre-belmontine, all’antica, che diventerà poi una sua caratteristica unica e di valore immenso. E che dire dello storico “toro regalato” a Barcellona, nei giorni dell’addio, voluto dagli ottusi separatisti catalani. Ne parlava, forse, Hemingway: è nel regolamento, ma chi lo ha fatto, in tempi moderni, a parte Morante, e in occasioni così importanti?
E il suo abbreviare? Se il toro non era buono, Morante non lo combatteva. O almeno così sembrava. Sembrava al pubblico non attento, o incompetente, che andava alla corrida come al supermercato, pagando il biglietto e pretendendo “qualcosa”. In realtà, quei passaggi che “castigavano” il toro, prima dell’uccisione, erano un filmato di cento anni prima, erano Joselito, erano Rafael el Gallo. Erano storia. Erano bellissimi.
“Morante quando abbrevia, ci fa un favore. Ci evita la noia, e andiamo a cena prima”. Non l’ho detto io. Morante abbreviava per tutti noi.
Morante si è evoluto, fino a diventare il più grande del XXI secolo, sempre riprendendosi dai momenti difficili, e esaltandosi nella fase storica più critica, quella del Covid. In quegli anni bui, il Genio fu, semplicemente, la tauromachia. In quell’anno combatté tutti i tori più difficili, più aggressivi, certo i meno adatti a lui, al suo toreo, ma lo fece lo stesso. Addirittura davanti un Miura a Siviglia.
Morante è stato il migliore con le banderillas. Non le metteva che qualche volta. Molti forse non lo hanno nemmeno mai visto, e poveri loro, perché era straordinario. Senza quasi correre, tempismo e arco perfetto, si allontanava poi quasi al passo lasciando il toro attonito.
Morante, un pomeriggio, iniziò la faena seduto su una sedia, in ricordo di Rafael El Gallo.
Morante iniziava la faena seduto sulle tavole.
Morante iniziava la faena con i meravigliosi passaggi in alto, poi in basso, e subito il toro era dominato.
Morante uccideva imprimendo nella fallace mente umana, ma anche nella ben più prosaica pellicola fotografica, la perfezione del volapié.
Morante una volta deterse le “lacrime” del toro che stava per uccidere con un fazzoletto che portava nel taschino.
Morante ha chiuso con un trionfo epico sollevato in aria da una marea umana, commossa e giovane, che ha cantato per molti, molti minuti il suo nome, come uno slogan. Una massa che lo ha portato lungo tutta la calle Alcalà fino all’albergo, e Madrid è rimasta incantata a guardare.
Morante era tutto questo, e molto altro.
Cosa rimane senza di lui, ora che non c’è più? Semplice: rimane il toreo senza Morante, cioè un’altra cosa. Nessuno lo può sostituire, perché se è vero che nessuno è come qualcun altro, men che meno ci sarà mai un torero come Josè Antonio Morante Camacho “de la Puebla”.



























