Note sulla feria di San Isidro

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(ph) Luigi Ronda

Con una serata di gala faraonica è stata annunciata, nei giorni scorsi, la prossima feria di San Isidro – il ciclo taurino più lungo e importante al mondo: trentaquattro pomeriggi consecutivi, tre novigliade, quattro volte i cavalli, ventisette corride formali. Duecentoquattro tori verranno messi a morte in poco più di un mese sulla sabbia madrilena, dal primo esemplare di Guadaira che aprirà la kermesse martedì 8 maggio all’ultimo dei sei Victorino che chiuderanno il cartellone domenica 10 giugno. Oltre alle paillettes e ai flutes d’ordinanza, oltre allo svelamento dell’orgiastico programma, due fatti hanno principalmente marcato la serata: l’immagine che ornerà il cartellone, un omaggio a Iván Fandiño che aveva in Las Ventas la sua piazza di elezione, è stata realizzata con una performance in tempo reale da Diego Ramos, affermato pittore taurino di origine colombiana che già si era occupato della pittura per Pamplona nel 2012. E mentre l’artista ritraeva a colpi di pennello la figura del leone basco, immortalato nella sua abituale posa concentrata e austera nei momenti precedenti la corsa, il giovane torero Gonzalo Caballero si impossessava della scena con un breve intervento dai toni sorprendentemente sicuri e netti: il ragazzo non ha digerito l’esclusione da San Isidro, lamentando un presunto maltrattamento ricevuto dal capo di Plaza 1, Simon Casas, che gli avrebbe imposto la scelta tra quattro ganaderias giudicate non opportune dallo stesso torero. Le combatterà quando sarà figura, ci promette, ma non ora che si sta aprendo la strada nel circuito principale. Caballero non ha però rivelato il nome di questi quattro ferri a lui indigesti, e dunque non sapremo mai se il suo è il gesto di un uomo di carattere che rifiuta sdegnato le facilità dei domecq (che pure affronterà il 2 maggio nella tradizionale corrida goyesca della capitale), o quello di un ragazzotto presuntuoso che pretende con due soli anni di alternativa a curriculum di scegliere i tori più abbordabili, per giunta nell’arena più importante di tutte.

Per passare però ai contenuti più strettamente taurini occorre segnalare come premessa obbligata che la feria architettata dall’impresa è sì bulimica e non esente da priapismo, ma tristemente priva di scintille e in generale di vero interesse. All’aggiudicazione del bando per la gestione dell’arena di calle Alcalà, nel settembre di un paio d’anni fa, Simon Casas si era abbandonato a dichiarazioni mirabolanti che avevano convinto anche l’aficion più intransigente: la ricetta promessa era maggiore varietà di encastes, motivi di interesse in ogni pomeriggio, gesta da ricordare e innovazione. Per il secondo anno consecutivo niente di tutto questo: San Isidro 2018 non si smarca dalle proposte per lungo tempo somministrate al pubblico della capitale dalla precedente impresa Taurodelta, a comporre un ciclo del tutto ordinario, senza autentici slanci di coraggio o innovazione, senza una sola giornata che susciti aspettative negli appassionati, senza un solo mezzo cartelazo. E ancora una volta nessuna possibilità di intersezione tra i due binari, irrimedibilmente paralleli, su cui viaggia oggi il circo taurino: da una parte le superstar con i loro abituali tori di garanzia, dall’altra il campionato minore delle corride dure combattute da toreri di secondo piano, il tutto ermeticamente sigillato e senza possibilità di contaminazione alcuna.

Nessuna delle attuali figuras fa onore al proprio presunto statuto: Enrique Ponce e El Juli passeranno sulla pista della capitale una sola volta e in pomeriggi che già odorano di noia e mollezza, Talavante si annuncia in due occasioni con avversari accomodanti, il Perera uscito in trionfo proprio qui a ottobre non va oltre a due comparsate, Manzanares si dedicherà a nient’altro che Nuñez del Cuvillo e Victoriano del Río. Solo Sebastien Castella prova a caricarsi del peso che gli tocca, ma i suoi tre pomeriggi sono in corride interlocutorie e che sanno di poco. Anche i giovani emergenti si mettono bene al riparo, da Roca Rey o López Simón o Ginés Marín per esempio arriva non un solo gesto di intraprendenza o iniziativa. I grandi toreri, quelli che in questi tempi così difficili per la tauromachia dovrebbero esporsi e sobbarcarsi l’impegno di sorreggere la fiesta, passano a Madrid in punta di piedi, incassano i lauti compensi e arrivederci all’anno prossimo. Tra le assenze, presto dimenticata quella di Morante che ormai conduce vita a sé, spicca senza dubbio il nome di Diego Urdiales: fra i toreri in attività maggiormente del gusto dell’afición madrilena, autore dei naturali più puri e cristallini di questi ultimi anni sulla pista di Las Ventas, protagonista di due uscite trionfali dalla porta grande di Bilbao nel 2015 e 2016, il matador riojano non impugnerà lo spadino nel maggio della capitale. Non sono date di sapere le ragioni di tutto ciò, il mundillo ha per tradizione capacità ermetiche davvero straordinarie. Non trovano spazio nel programma nemmeno Miguel Abellán o Uceda Leal che da queste parti godono di credito sicuro, o altri nomi che avrebbero meritato almeno un’opportunità, si pensi per esempio a Lamelas, Aguado, Manolo Vanegas. Tanto più che, di contro, la presenza di colleghi con poca attrattiva a Madrid come Finito de Córdoba o El Fandi lascia davvero perplessi.

Sono dunque pochi i nomi dei toreri che scendono a Madrid assumendo le responsabilità che questa plaza pretende: Paco Ureña con tre giornate per tre avversari di origini diverse (corride di Puerto de San Lorenzo, Nuñez del Cuvillo, Victorino Martín), Juan Bautista jefe de lidia nella corsa de La Quinta e in una di Nuñez del Cuvillo, El Cid che stoccherà La Quinta e Adolfo, Rafaelillo che si digerirà Miura e Escolar, e sopratuttto Román. Il giovane valenciano, alternativa nel 2014 e trionfo da porta grande proprio a Madrid lo scorso ferragosto, non si accomoda e mette la gamba: Fuente Ymbro, Juan Pedro e Miura per lui.

Tra gli allevamenti proposti va un poco meglio: tralasciando la consueta e prevedibile valanga domecq, che pure avrebbe meritato maggiore varietà (due corse a testa per Victoriano del Río e Nuñez del Cuvillo sono davvero indigeribili, e l’assenza di Antonio Bañuelos poco comprensibile) una decina buona di pomeriggi vanta tori che interessano l’aficionado e che perlomeno promettono emozione e integrità. I tre ferri albaserrada (Escolar, Adolfo, Victorino) sono distribuiti nel ciclo, e poi ancora Dolores Aguirre o Saltillo, Partido de Resina o Baltasar Ibán. Peccato per Rehuelga che, dopo una corsa grandiosa l’anno scorso a Las Ventas, per onesta ammissione dell’allevatore non ha potuto portare che tre soli tori degni di questa arena.

In buona sostanza Madrid offre per questa stagione una feria enormemente lunga in cui è impossibile trovare anche un solo grande cartel all’altezza del prestigio dell’arena, in cui le figuras giocano vergognosamente a nascondino e nella quale l’aficionado dovrà accontentarsi di cercare le ragioni della propria ostinazione in qualche sparso elemento di interesse qui e là. Male.

 

 

 

 

 

 

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