Una sera da ricordare

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Quanti hanno scelto l’arena di Madrid mercoledì 12 ottobre scorso per assistere alla loro prima corrida hanno avuto in sorte di vedere se non tutto, moltissimo di quel che può accadere in una serata di tori.

Com’è finita lo si può leggere sulle pagine specializzate in cronaca taurina dove agli aggettivi più mirabolanti ed enfatici sembra non esserci mai fine. In sintesi: doppia Porta Grande a Las Ventas assieme all’umiliazione di un torero che non ha ucciso il suo animale. Proprio nel giorno de la Hispanidad. 

I segnali di un esito tanto clamoroso forse erano già percepibili in quella particolare atmosfera sospesa ed elettrica che circondava l’arena ore e ore prima che tutto iniziasse. I biglietti erano esauriti da giorni, forse l’attesa devozionale dei sempre più numerosi sostenitori di Roca Rey, forse la prospettiva eccitante e malinconica di un’ultima di feria a segnare la fine dell’estate e un arrivederci ai tori, forse il bisogno e la voglia di ribadire con forza, in queste battute finali, il diritto a esistere di questo piccolo mondo assediato e perennemente in discussione, forse tutto questo o più semplicemente il rinnovato desiderio di festa in un’assolata giornata di metà ottobre. Assolata sì, ma di un sole gentile, non quello feroce di giugno quando dolgono gli occhi e  dalle gradinate del 6 ogni accadimento sembra frutto di un miraggio.

Non prendo appunti nel corso di una corrida, non scatto fotografie, non sono dedito all’ortodossia torista né alla disquisizione tecnica, per tutti questi motivi le riflessioni che seguono non possono essere altro che un breve resoconto emozionale.

Due anni di pandemia uniti a una notevole dose di sfortunati eventi mi hanno tenuto lontano dalle arene per troppo tempo, tanto basta  per essere sopraffatto dall’emozione al paseillo: siamo ancora qua, nulla è perduto, mi sembrano secoli, tanto da notare un inaspettato cambio generazionale tra le fila: giovani e giovanissimi sfoggiano camicie immacolate e acconciature impeccabili, all’ultimo grido di una moda torera uguale da 40 anni. 

Un primo toro con poco o niente da segnalare per Alejandro Talavante e due successivi talmente deboli sulle zampe da esser fatti rientrare al toril al primo fazzoletto verde non sembrano di buon auspicio, passeranno 40 minuti prima dell’ingresso del toro per Roca Rey eppure l’eccitazione non sembra essere scemata, le aspettative sono ancora alte e oggi verranno premiate.

Non so dire quanto l’esito trionfale sia stato appropriato e fedele a quel che si è visto mercoledì sera, quanto le picche possano essere sembrate ad alcuni troppo indulgenti o quanto i tori, ottimi in buona parte, abbiano potuto riscuotere il plauso generale e incondizionato ma so per certo che ancora una volta, in più di un’occasione e per più di pochi istanti tanto Roca Rey quanto, e forse più, Francisco de Manuel hanno fatto sì che uomo e animale si prendessero gioco del tempo dilatandolo, fermandolo, scomponendolo, offrendo momenti di bellezza tale da illudere i presenti che, nel breve attimo di un battito di ciglia, il mistero della tauromachia potesse essere svelato con chiarezza, fatto proprio e di nuovo perduto per sempre o fino alla prossima occasione.

I 23.000 presenti in piedi offrono uno spettacolo non così consueto nella plaza de toros più “difficile” del mondo, oggi – anno 2022 – il giro di pista di quegli ultimi eroi romantici risulterebbe agli occhi di un avventore occasionale come minimo straniante, io stesso mi sento disorientato.

Ma non è solo festa, trionfo, commozione: Talavante rinuncia a uccidere il suo secondo toro prima ancora di sentir risuonare il terzo avviso, con lentezza insopportabile l’animale inizia il suo peregrinare lungo le assi, una mano senza volto armata di puntilla pietosa e vigliacca mette fine all’agonia dall’ombra di un burladero, un lampo di vergogna colpisce lo stomaco, si tramuta in sdegno ed esplode in urlo, le gradinate di un’arena, anche nella serata più limpida ed entusiasmante, non saranno mai un luogo rassicurante mai, una corrida, intrattenimento a buon mercato.

Sono le 8 di sera quando ci si riversa storditi e un po’ increduli sulla strada. Per 3 ore la tauromachia vestita a festa ha fatto sfoggio di sé nella sua totale interezza in una vertiginosa e tragica altalena di luci e ombre,  senza artifici né omissioni per tener salda la generosa e folle dedizione di ognuno di noi, rinnovare il culto, costringerci all’appuntamento inappellabile con la prossima temporada.

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