Un torero di culto

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Ricorrono cento anni dalla nascita di Pepe Luis Vázquez e il modo migliore per celebrarli potrebbe essere quello di leggere la biografia che Carlos Crivell e Antonio Lorca pubblicarono qualche anno fa per i tipi di El Paseo Pepe Luis Vázquez, torero de culto. Conosceremo così un torero dalla personalità unica, dotato di un classicismo e di una grazia speciali, ricco di una assoluta conoscenza del toro, uomo umile, taciturno, poco amante delle luci e del frastuono della popolarità. 

Il fatto che questa figura del toreo sia nata in un contesto storico poco taurino fa ben sperare per il futuro della fiesta. Scomparso Joselito e ritiratosi Belmonte, infatti, i giovanissimi di Siviglia si votarono al calcio, sostituirono il pallone alla muleta. Nelle piazze e nei bar non si parlava più delle gesta taurine, si preferiva discutere di calciatori. Anche nel quartiere di San Bernardo l’afición languiva e il piccolo José sembrava disinteressato alla tauromachia. Accompagnava alle corride suo padre, un ex-novillero passato a lavorare al mattatoio, ma senza mostrare vero entusiasmo verso i grandi della sua epoca, “Niño de la Palma”, Manolo Bienvenida, Cagancho, Chicuelo e Marcial Lalanda, che poi divenne il suo apoderado. In realtà, benché il padre non se ne accorse, sera dopo sera sui gradini duri della Maestranza, qualcosa nel bambino finì col mutare. José iniziò a giocare a toro e torero e ci fu persino un pomeriggio in cui toreò un becerro col grembiule del collegio. Fu questo il primo accenno di ciò che sarebbe stato il suo avvenire. 

Lo scoppio della Guerra Civile obbligò la famiglia a fare i conti con le ristrettezze del momento e a cercargli un lavoro. Gli si aprirono le porte del macello ed è qui che iniziò davvero ad interessarsi ai tori, a studiarli, a capirli ed a torearli. Il conflitto, infatti, impediva che si tenessero corride e dentro al mattatoio si cominciarono a uccidere anche tori selvaggi. Il ragazzo allora iniziò ad affrontarli all’insaputa di tutti. Evidentemente, i pomeriggi con suo padre alla Maestranza avevano acceso il sacro fuoco taurino che ora si stava alimentando con forza. Pepe Luis iniziò a intrufolarsi con gli amici nei corrales, dopo il tramonto, e il lavoro finì in secondo piano. A nulla valsero le insistenze del padre perché accettasse la tranquillità di un impiego sicuro e ben remunerato. Quello che una volta era stato il ragazzino distaccato, silenzioso e indifferente ai tori stava ora bruciando dalla voglia di armeggiare capote e muleta. La sorte era dalla sua: alla finca di El Quintillo, dove un novillero chiamato El Garrote stava mal figurando davanti a tori Polaina, irruppe nel ruedo, nonostante l’iniziale diniego del proprietario, e riuscì a scalzare l’aspirante torero e a impressionare gli spettatori per valentia, naturalidad e gracia. Aveva solo quattordici anni. A maggio dell’anno seguente, toreò due novillos di Miura e Guadalest a puerta cerrada nella Maestanza e stupì gli astanti per la conoscenza dei terreni e delle distanze, per i movimenti naturali ed eleganti, il corpo sempre verticale, la muleta allineata all’anca. A giugno vestì il suo primo traje de luces nella plaza di Algeciras in un vero e proprio trionfo perché a ogni becerro tagliò orecchie e coda. La sua era una naturalezza disarmante, dolce, armonica, sia davanti al toro che distante da esso. Il suo stile era privo di forzature, di violenza, di gesti eclatanti. Con leggerezza sfoggiava chicuelinas, recortes, kikirikís e il cartucho de pescao. Il suo nome fu sulla bocca di tutti gli aficionados e toreò a Sanlúcar de Barrameda e ancora a Siviglia. Quel modo di stare nella plaza non lasciava intuire nulla di tragico, azzerava il terrore della fatalità, era intelligente, allegro, calmo e sicuro. Pepe aveva la capacita di “convertire un lance in un’opera d’arte, un muletazo nella quintessenza di tutte le meraviglie, un desplante in un monumento con lo stile di una terra come la sivigliana”. Il ragazzino di San Bernardo aveva fatto il suo ingresso nella storia.

Il lavoro di Crivell e Lorca ripercorre tutte le sue temporadas, passando per la corrida del 25 luglio del 1943 a Santander, dove un piton gli spaccò il naso penetrandogli nel sacco lacrimale sinistro, ferita che lo condusse anni dopo alla cecità. Ci fa conoscere la sua vita familiare, indaga il rapporto con Manolete e Miura e ci consegna un tratteggio approfondito del suo profilo tecnico. Scopriamo così ogni aspetto di questo torero eterno che guarda la Maestranza in un armatura di bronzo, Pepe Luis Vázquez, torero de culto.

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