Oggi alle ore 18, a Zalamea la Real, Mario Diéguez prenderà l’alternativa. Il momento decisivo per ogni torero dopo una vita di sacrifici corona in questo caso una passione travolgente. Sebastiano Luca Insinga, documentarista italiano che da tre anni lavora sul mondo dei tori, ha conosciuto e seguito Mario Diéguez a lungo. Assieme al fotografo Simone Cargnoni (qui una galleria di fotografie espressamente dedicata al nostro sito) ha potuto partecipare di emozioni e dolori a volte apparentemente senza appello. Questa è la terza puntata della sua storia.
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Nei due giorni successivi Mario e Manuel riuscirono a mettere insieme i soldi per pagare i novillos del Freixo. Un pò di soldi li aveva messi da parte il padre di Mario. Una parte la mette Manuel. Leonardo rinuncia a parte del suo compenso. Altri Mario se li fa prestare con la promessa di restituirli dopo la corrida.
La strada che porta da Siviglia verso l’Extremadura è un susseguirsi di morbide colline di ulivi, lecci, querce. Uno dopo l’altro i cartelli di avviso: “Attenzione. Animali selvaggi. Vietato entrare. Vietata la caccia”.
Quando arriviamo nella ganaderia, Salva, il picador di Mario, ha già bardato il cavallo e vestito l’armatura che protegge la gamba dei picador. Mario entra nel cuarto de toreros e Pichu prepara il vestito. Manuel e Leonardo vanno a vedere lo stato dei due novillos già pronti nei corrales.
Fanno tutto come fosse il giorno della corrida, quando è solo il banderillero a vedere i tori che affronterà il suo torero. Leonardo riferisce le sue impressioni sull’animale a Mario mentre Pichu lo veste.
L’arena della ganaderia è al chiuso, con delle grosse vetrate tutto intorno. Hanno bagnato la sabbia e sembra di stare dentro una serra in Pianura Padana. Tutti sono al loro posto. Mario fa segno di fare entrare il toro. Aprono il cancello, il novillo entra sollevando la polvere e spingendosi verso Leonardo che agita il capote. Gli fanno fare un mezzo giro dell’arena mentre Mario ne guadagna il centro. Dopo due o tre movimenti del capote per invitare l’animale a seguirlo, Mario smorza l’impeto del toro con una prima veronica. Finalmente vedo Mario toreare.
Non posso raccontare niente di quel pomeriggio che si avvicini ad una cronaca taurina. La mia esperienza era poca per capire ogni parola di quella lingua ancora estranea, ma i pases di Mario erano lievi nell’aria come il soffio di un vento. Questo si lo ricordo: la sensazione di gioia nel vedere Mario leggero come quel vento mentre studia l’animale che ha di fronte. Prima il capote, poi la muleta. Il ritmo della faena diventa più lento. L’animale si stanca e inizia a intuire l’inganno delle stoffe. Sotto la guida di Manuel e di Leonardo, Mario conduce la danza dell’animale/uomo.
Quando il toro è ormai vicino alla fine, Mario cambia la spada e si prepara all’uccisione. Come si dice in gergo “pinchò!”. La spada, invece di conficcarsi tra le vertebre del toro e ferirlo a morte, frena la corsa sulla spina dorsale e schizza fuori. Quasi gli taglia la faccia. Mario riposiziona il toro e al secondo tentativo entra recibiendo pulito e preciso, il toro si accascia il pochi secondi. Cade a terra senza vita. L’errore alla spada a Madrid gli avrebbe fatto perdere la possibilità di un trofeo.
Il secondo è un ottimo toro. Va forte al cavallo, ingaggia la lotta, segue la muleta. Mario riesce a mettere in fila delle buone serie di pases. Il toro risponde agli inviti di Mario. Iniziano a fondersi e creare forme.
Vedo che Manuel esce dall’arena e si avvicina ad Alfonso, il mayoral. Si dicono qualcosa. Mario continua la faena. Manuel continua a parlare con Alfonso. Mario intuisce e vuole capire meglio. Ferma il toro in mezzo all’arena e si avvicina al burladero. Manuel discute con il mayoral delle doti di quel toro. Manuel fa intendere ad Alfonso che sarebbero stisposti ad indultarlo e cerca di convincerlo a darne in cambio un altro a Mario. Leonardo tiene il toro fermo, vicino al burladero. Mario non sembra convinto, vuole andare fino alla fine. A Madrid dovrà ucciderlo l’animale che avrà di fronte. Ma Manuel insiste e cerca di convincerlo. Sono fasi concitate, parlano tra loro e non capisco molto. Ma dopo una decina di minuti portano via il toro. Sembra che siano d’accordo a salvare l’animale ma non ne hanno un altro per Mario. Alfonso cerca di contattare el Juli, che ha appena finito una corrida, per chiedere cosa fare.
Vedo Mario allontanarsi dal gruppo e andare verso il burladero. Si piega con la testa tra le spalle e scoppia in un pianto che non riesce frenare. Aveva tenuto tutto insieme, tutto dentro, accomulato gli sforzi mettendoli alle spalle. Adesso l’unica occasione di potersi confrantare con un toro selvaggio gli era stata tolta per metà. Non riusciva a pensare in quel momento alla bellezza delle cose che aveva creato con quell’animale a cui stava donando la salvezza. Mario era crollato e non riusciava a trovare conforto. Come se il prezzo della vita risparmiata all’animale fosse il confronto feroce con la paura della morte. Salva, il più grande della cuadrilla, si avvicina e Mario che gli dice tra i singhiozzi: “No he matado el toro!”. “Hombre, lo has indultado!” risponde Salva.
L’indomani non vedo Mario fino a sera. Sto con Pichu mentre prapara il traje, i capotes, le muletas. Mentre affila e lucida le spade. Incontro il padre di Mario, che ha lavorato con alcuni italiani e mi racconta delle serate che passavano insieme, tutti lontano da casa e dalle mogli. Mi fa vedere con orgoglio alcune foto di Mario, mentre gli altri due figli guardano il Betis in televisione. Confessa che lo sa che la colpa di tutto questa è sua, ma i tori sono come una febbre: non sei tu a scegliere se ti prende o no.
Mario torna a casa, il volto è serio, anche i lineamenti sono cambiati. Parla ancora meno del solito. Lo abbraccio e lo saluto: “Suerte, Mario! Ci vediamo a Madrid”.
La corrida fu un fracasso. Non solo per Mario, anche per gli altri due novilleros in cartel. Nulla andò come sperato. I tori non stavano in piedi. Il pubblico chiedeva il cambio dopo l’ingresso di ogni toro. Senza forza, senza nobiltà, senza bravura. Dopo la suerte de varas erano già finiti. Mario non riuscì a fare niente, ne col primo ne col secondo. Lo vedevo perso e lontano. Mentre assisteva alla corrida degli altri due novilleros cercava conforto nel cielo. Aveva sognato con ardore quel pomeriggio e lo stava perdendo. Tentava, ma senza riuscire. La cosa che più sognava era diventare una cosa solo con quell’animale anche solo per pochi istanti, ma ogni cosa era al contrario quel giorno. La montagna che aveva scalato gli era crollata addosso.
Ho aspettato che l’arena si svuotasse prima di uscire. Poi aspettai a lungo fuori dall’hotel, prima di decidermi a salire. Forse volevo trovare le parole giuste da dire a una persona che di fatto conoscevo solo da pochi giorni, ma con cui sentivo di aver vissuto quasi una vita intera. Quando bussai alla porta della sua stanza le parole giuste le trovò lui: “Questo sono i tori, un’illusione, un’estasi, una pura nostalgia che ogni volta ti fa venire il desiderio di desiderarne ancora”.
Ci siamo salutati li, nella stanza d’hotel con Manuel, Leonardo, Pichu che smacchiava il traje de luces. Mario si stava vestendo ed era tornato il Mario di qualche giorno prima. Sapeva di aver perso una grande occasione, ma pensava già al prossimo toro. Ci siamo abbracciati e ci siamo dati appuntamento al giorno della sua alternativa.
Ci sono voluti due anni ma oggi quel giorno è arrivato. Mario si vestirà d’oro, nel traje che suo padre ha fatto cucire per questo giorno, prima di lasciarlo per sempre.
Suerte, Maestro!
(terza puntata – fine)