II 29 marzo 2015, tal día como hoy, Iván Fandiño entrava da eroe nell’arena di Las Ventas e ne usciva un paio d’ore dopo da uomo sconfitto: fu una pessima tarde de toros e insieme un pomeriggio indimenticabile che fece ancora più grande la fiesta. Riproponiamo oggi queste righe, pubblicate su Campos y Ruedos qualche giorno dopo quella data storica.
* * * * *
« Nell’Ade non c’è ombra. Nessuno può tornare tra i vivi.
E il mondo è invece quello dei vivi perché soltanto lì c’è la vita:
sofferenze, patimenti, piccole gioie, felicità, lacrime di nostalgia e di rabbia.
E la morte. »
Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi.
‘Medallito’, ‘Azafato’, ‘Primillo’, ‘Curioso’, ‘Garduño’, ‘Bonito’ erano nei pensieri illusori dei mesi passati le stelle luminose e ridenti della costellazione del Leone, del leone basco pronto a farle brillare nel firmamento del toro e a farsi attraverso di loro valoroso eterno; ‘Medallito’, ‘Azafato’, ‘Primillo’, ‘Curioso’, ‘Garduño’, ‘Bonito’ si sono fatti invece stazioni di una via crucis individuale e collettiva fatta di patimento e indicibile sconforto: che fosse attraverso i cuscini gettati per disillusione a punteggiare la pista o per gli applausi di compassione scanditi da mani ora incredule, la comunione nei sentimenti si è davvero fatta, domenica, a fine pomeriggio.
Perché niente ha funzionato veramente come ogni anima presente in quel luogo affacciato sul mistero, ogni anima, aficionados, toreri, giornalisti, ambulanti, veterinari, curiosi, monosabios, come ogni singola anima auspicava e come per mesi ha, senza dubbio, sognato. Nulla. Non un toro, fatta eccezione per quell’Escolar esigente ma che esigendo suggeriva la possibilità del trionfo grande e invece sciupato così, mollemente, per abdicazione; non un torero che quel torero è stato semidio fino alla rottura del paseillo e che poi lentamente ma inesorabilmente è ritornato uomo, uomo sconfitto, perso e confuso, il volto scavato e teso per tutto il pomeriggio, i gesti nervosi e stizziti, un uomo entrato luminoso e finito pallido e tetro. Non una veronica di dominio, non un pecho che fosse d’autorità, non una spada, niente.
Piangono anche gli eroi e non sappiamo se Fandiño abbia lasciato anche qualche luccicone, oltre che tutto sé stesso, le membra e l’anima, sulla sabbia di quell’arena. Le lacrime degli eroi. Le lacrime degli eroi ci sono sconosciute perché, semplicemente, non vogliamo ammetterle, perché non le vogliamo credere possibili, perché ci rifiutiamo il pensiero che da quegli occhi possa nascere il pianto, così umano e comune, come se una da una fonte alpina sgorgasse acqua torbida e maleodorante, questo no, non vorremo crederlo mai. Le lacrime degli eroi, ché gli eroi piangono, sono però le lacrime di tutti, di tutti coloro che di quegli eroi hanno vitale e morale bisogno, e nell’arena domenica erano ventimila e più le anime a vibrare protese nell’attesa salvifica e consolatoria di un cavaliere che non potesse conoscere disfatta e fallimento.
Ma eroi si è non perché necessariamente si trionfa in battaglia ma perché quella battaglia la si accetta e affronta, perché si ha la temerarietà di rischiare, fino in fondo, tutto. Per dare dignità e valore a sé e alla battaglia stessa. Si è eroi perché si ha la forza e il coraggio di essere sé stessi, perché si ha il merito unico di contemplare la sconfitta come possibilità, perché anche si fallisce. Fandiño è stato eroe per mesi e lo sarà di nuovo nei ricordi, è stato uomo per un pomeriggio, semplicemente e immensamente uomo, perché uomo vinto e fragile. Perché le lacrime che non sappiamo se abbia pianto ma che gli immaginiamo a inumidire il volto e che abbiamo tutti condiviso l’hanno restituito a noi e a sé e alla tauromachia tutta, vulnerabile e dunque non ancora finito, già che, pensiamoci, l’eterno è staticità e fine: solo l’uomo ha l’illusione della prossima vittoria a compensare la recente sconfitta, motore dunque di vita e passione.
E’ stata una domenica amara e triste, ma è stata una indimenticabile domenica di tori: di tori magnifici e leggendari e vigliacchi e inadatti, di gradinate stracolme di eccitazione e aspettativa, di serietà e ilusión. La Fiesta aveva bisogno di una domenica così, proprio così, di queste settimane di fantasticherie e miraggi e di questa bruciante delusione, così cocente e così vera. Una domenica da eroi, per tutto ciò che aveva reso possibile quella domenica: dalle sei del pomeriggio in poi, ormai, il trionfo non era altro che una lusinghiera eventualità, non certo una doverosa necessità.
Una domenica da eroi e uomini, eroi e uomini a piangere insieme e senza dubbio alcuno, proprio per tutto quello che è stato e perché è stato così, a desiderare ancora e subito altri pomeriggi di tori.