Curro Romero, l’essenza del toreo

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Il racconto biografico che Antonio Burgos dedica alla vita di Curro Romero (Curro Romero, la esencia, Planeta, Barcellona 2000) è una piacevolissima lettura che ci conduce, pagina dopo pagina, nelle tardes de gloria e nell’idea di toro del diestro sevillano. Che quella di Curro sia un’epoca ormai lontana lo capiamo sin dal suo esordio con Radiador, nella novillada di Siviglia organizzata da Benítez Cubero. Quel toro, a cui tagliò due orecchie, “tomó seis varas y derribó cuatro veces en el caballo”. Scivoliamo tra i tanti ricordi di una vita sbocciata nella finca di Gambogaz e trascorsa tra plazas de toros, gitani, aficionados, cantanti flamenchi e viaggi, episodi come la celebre contestazione di Madrid, quando uno spettatore saltato nell’arena, lo spinse e lo fece cadere rimproverandogli di non aver ucciso un toro che il torero aveva considerato già toreato al suo ingresso nell’arena. 

Camarón de la Isla lo cantò come “la esencia de los toreros” e il volume espone con chiarezza l’idea currista di tauromachia, delineando i tratti del toreo artistico, templado, la figura dai piedi fermi e i passi lenti, in possesso del senso della distanza e della capacità di imporre ritmo al toro. 

Affiorano, qua e là, di Curro, il gusto e la percettibilità pulita: “E quando il toro mi ha sporcato di sangue, penso che sia stato perché non l’ho condotto come avrei dovuto. E anche il sangue è una cosa sgradevole, macchia un abito da corrida, che è così bello. In una parola; sono un torero e non sono un macellaio. È vero, ci sono volte in cui i toreri si macchiano di sangue e non è la cosa più bella. Sembriamo dei macellai… Non mi piace togliermi le scarpe, perché penso che gli abiti da corrida siano un insieme, un tutto, che deve essere una sola cosa, sempre ben disposto, perché è segno che c’è un torero lì che comanda il toro senza nemmeno sporcarsi, e questo gli permette di essere bello nel suo insieme. Perché un torero scalzo è già una cosa brutta…”. 

Curro definisce la corrida come il “trasformare qualcosa di violento in qualcosa di bello; sapere di avere la verità dentro ti dà un’enorme sicurezza”.

L’animale che il sivigliano osanna è il toro fisso, ben concentrato contro ciò che ha di fronte, che segue il panno con le orecchie abbassate, obbediente fino a sfiancarsi nei muletazos. Il torero non deve mai perdere la sua faccia, deve tenerlo attaccato alla muleta e non allungarlo, deve ricorrere ai tirones solo per quei tori che danno testate, per accompagnarli e scoraggiarli. Tuttavia quando si parla di toreare puro parliamo di capote: “Con la muleta il torero ha una difesa in più, perché ci sono dei tocchi che si danno al toro e lo si chiama lì. Ma col capote non puoi fare allungamenti, perché a muoversi è il toro. Per condurlo al tuo capote devi farlo con molto temple in modo che il toro non si allontani da te”. La difficoltà è con la chicuelina, lì il muso si perde, ci si gira e il toro passa sul fianco finendo quasi dietro e bisogna rigirarsi dalla parte opposta e allora il toro può colpirti: “le mani alte per i tori non sono buone. Forse a metà altezza, perché non puoi combattere con le mani troppo basse e forzando la figura: che non si mostrino i tirantes toreando, come dicevano un tempo. C’è una forma di toreare in cui non si vedono bretelle, né la fascia o il fajin, come vogliamo chiamarla”. In nome di quest’arte Curro stravolgerebbe i regolamenti o ne farebbe a meno: ci sono tori che si possono toreare completamente col capote, ma il regolamento impone altro, prescindendo dal tipo di toro.

Da questo viaggio tra ricordi e valori, estraiamo un passaggio che sembra tinto di sangue eppure pregno di imperturbabilità, un racconto assai vivido, esemplificativo di una incredibile tranquilla armonia tra pericolo e valentia, quello della stagione delle tre cornate: 

“Quella del ’62 fu la stagione delle tre cornate… Algeciras, poi La Línea e, a fine stagione Zafra. Quella di Algeciras è stata il 17 giugno, un’incornata all’inguine di un toro di Carlos Nuñez chiamato “Agualimpia”…

Fu la mia prima cornata piena, con prognosi gravissima, perché le altre erano state volteretones, e benché fossi stato in infermeria, ci ero sempre entrato coi miei piedi…

Non avrei mai pensato che quel toro potesse colpirmi. Ora penso che lo impegnai in troppi muletazos, per quanto fosse buono. Troppi lances e troppi muletazos, allora non avevo il senso della misura e della brevità che ho acquisito in seguito. L’incornata avvenne toreando con la muleta, e molto vicino alla faccia del toro, ero così sicuro che presi a montar la muleta davanti al suo muso, ero molto vicino a lui, e il toro ha allungato il collo in quel momento e mi ha preso. Mise quasi l’intero corno nell’inguine. Mi ha sollevato e mi ha spinto via. Per fortuna non mi scosse, ma mi sentivo come se il corno mi avesse raggiunto fin su… Mi avevano detto che era muy brocho, per questo non poteva farmi del male. E invece…

Fidarsi degli ignoranti è sbagliato. Non si può fare di fronte al toro, e così vicino al toro; mi è costato un colpo all’inguine impararlo. Per piazzare la muleta devi indietreggiare di qualche passo di fronte al toro, nel caso ti attacchi in quel momento. Da allora ho imparato con il sangue che le incornate che prendiamo noi toreri artisti sono più gravi dei revolcones e volteretones dei toreri che si spacciano per coraggiosi, perché stiamo combattendo a nostro agio, a piacere e non ci rendiamo conto del pericolo, anche se esiste. Ho sempre avuto più paura di combattere male che di fare la corrida che faccio… Ho imparato per la prima volta ad Algeciras cosa fosse una cornada de verdad

Cinque minuti dopo essere stato in infermeria, ho iniziato a sentire delle fitte molto forti e un’enorme sensazione di bruciore lungo il percorso che il corno aveva fatto all’interno del mio corpo. Sono stato con questi dolori per cinque giorni, ma mi hanno curato rapidamente, il dottor Fernando Ramos Argüelles, all’ospedale di Algeciras, e più tardi, a Madrid, il dottor Jiménez Guinea, che era un’eminenza, che gestiva il Sanatorio de Toreros, una clinica solo per toreri, dove tutto era molto torero e dove anche le infermiere, ovviamente, con tanta esperienza di incornate, conoscevano i tori, e sapevano incoraggiare i toreri. Mi hanno portato a Madrid in treno da Algeciras, un calvario, con la ferita ancora aperta, e in un normale vagone, senza ambulanza o altro. E siccome era la prima vera cornata che avessi mai avuto e il mio matrimonio era all’orizzonte, i giornalisti non hanno fatto altro che cercarmi e, per la convalescenza non sono stato al Sanatorio de Toreros, ma Jimenez Guinea mi faceva visita in uno chalet di amici a Colonia de la Prensa, vicino a Carabanchel, per togliermi dai fastidi… Ma i giornalisti mi aspettavano… e in un’intervista mi hanno chiesto quale figura nella storia della corrida volevo essere. E ho detto loro: – Lotto per arrivare in cima per quello che sono, come Curro Romero. Non penso che passerò al toreo falso.

Più che il dolore delle incornate, mi fece male aver accorciato la mia stagione, persi dieci corride… siccome ero ansioso, mi sono ripreso presto, meno di un mese di convalescenza. L’incornata di Algeciras fu il 17 giugno, e il 15 luglio ero a La Línea… E là nella mia ricomparsa venne la seconda incornata, pure forte, nel perineo, nell’ano. Stavo per allontanare il toro dal cavallo, stavo camminando all’indietro ed ho perso l’equilibrio e il toro mi è venuto addosso e mi ha preso. Mi hanno operato due volte per questa incornata… Anche per questa ferita non ho impiegato molto a riprendermi, anche se forse era in un posto peggiore, più fastidioso. Mi ci è voluto ancora meno tempo dell’altro per riprendermi. L’incornata de La Línea è avvenuta il 15 luglio e il 1 agosto stavo già toreando alla fiera di Malaga, quando ho tagliato l’orecchio a un toro di Samuel Flores. 

Venti giorni. I corpi a quell’età escono forti dalle cornate. Ed escono bene.

Quella fiera di San Miguel non toreai a Siviglia, e una delle ultime corride che avrei toreato prima di sposarmi fu quella della feria di Zafra.

E lì a Zafra, il 5 ottobre, con le nozze fissate per il 22, con gli inviti distribuiti a Concha Piquer e Antonio Márquez e tutto il resto, a Los Jerónimos, dove era la cerimonia, è arrivata l’altra cornata.

Fu una corrida di Saltillo… Il toro mi ha preso all’inguine destro, mentre toreavo con la muleta. Era un toro difficile, volevo torearlo lì, per il coraggio di farlo… Finché non mi ha preso, ovviamente. E nel quite che i banderilleros fecero, fu incornato anche Almensilla… Quella di Almensilla non era niente di grave, ma la mia era profonda… Mi portano in infermeria e mi buttano sulla barella che c’era per spogliarmi, vedere cosa avevo e iniziare ad operarmi e alla barella mancava una gamba e pum! sono caduto sul pavimento con la barella su di me… quando già avevano sistemato in qualche modo la barella perchè non cadesse più, mi stavano spogliano e Pepito Camará mi si avvicina e dice: 

– Ehi, qui non ci sono le condizioni per operarti. Dovremmo andare a Siviglia. Te lo dico così lo sai. Penso che non dovrebbero fare altro che ricucirti e andremo a Siviglia sdraiati…

– Sì, certo, che mi facciano tutto come va fatto, ma come mi opereranno senza l’anestesista? Andiamoci adesso…

E mi hanno ricucito tutto l’inguine dal vivo. Senza anestesia e senza nulla. Andai con i punti della cucitura e con la cornata non operata fino a Siviglia. Nella stessa macchina della cuadrilla, gettato sul sedile posteriore…”.

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