23 agosto 2011: Bilbao, Morante, Cacareo

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(ph) Javier Arroyo

Pare che Morante sia stanco di tori troppo grandi. A metà dell’agosto scorso, dopo un non troppo lusinghiero mano a mano con El Juli sulla sabbia d’El Puerto (cinque orecchie e coda per Julián, fischi di diverso grado di acredine per il nostro), il genio sivigliano annunciava il ritiro per un tempo indefinito. Apparentemente la misura dei tori è eccessiva per poter esprimere il sentimento gitano che lo informa e consuma. Per completezza va però detto che el de la Puebla ha in repertorio, oltre ai kikiriki di sapore antico e a quella veronica di profumo magico, anche il ritiro estemporaneo: è la terza volta infatti che questo personaggio, tanto unico e genialoide quanto incostante e fino irritante, si ferma d’improvviso. Per l’occasione la motivazione ufficiale è aburrimiento: insomma Morante, povero lui, è esausto di tutti questi veterinari e presidenti che ammettono al ruedo avversari con troppa carrozzeria. Ma, con buona pace di tutti i suoi estimatori, è notizia di qualche settimana fa che José Antonio ha programmato di ritrovare l’ilusión più o meno a giugno dell’anno prossimo: lo ritroveremo in una trentina di arene di garanzia, naturalmente faccia a faccia con tori di suo gradimento.

Fatto curioso, fu proprio affrontandosi a un animale con presenza e casta e personalità che Morante realizzò un’opera maestra, un vertice assoluto della sua arte, una faena indimenticabile. Fu il 23 agosto del 2011, a Bilbao.

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VIENI, TI RACCONTO UNA STORIA

Vieni, ti racconto una storia: e poi dopo seguimi, la racconteremo insieme.
Così ha mormorato Morante a Cacareo, un giorno umido e grigio a Bilbao; verde foglia il vestito, il colore delle nocciole d’autunno il manto.

Vieni ascoltami, ti racconto una storia.

Bilbao, martedì 23 agosto 2011 – corrida di Nuñez del Cuvillo, quarto toro del pomeriggio: è inevitabile il ricorso alla cronaca, per introdurre e cantare la poesia.
Cacareo, dunque. Dieci minuti di fischi, dieci minuti di olé.

Cacareo è un toro che di Bilbao conosce innanzitutto due cose, il cielo uggioso e la fastidiosa eco di diecimila pitos: entra e perde la mano sinistra, poi vaga per la pista, si sorbisce una prima picca pessima nella schiena, vaga di nuovo per la pista, va a tuffarsi nel cavallo di riserva.
Ventimila mani si uniscono a coppa attorno a diecimila bocche che così ululano e insultano meglio quel toro, che è davvero terribile, e il presidente, che non fa uscire il fazzoletto verde.
L’autorità ordina invece l’uscita dei picadores e il maestro a tradimento fa assestare all’animale una terza razione di ferro, che Cacareo non rifiuta e prende rassegnato e fiducioso, proprio così come si beve una medicina.
Fischi.
Ma a Cacareo i fischi evidentemente non fanno impressione, e continua a fare di tutto per averne in regalo ancora, e ancora.
E’ tutto grigio plumbeo come il cielo e la pista, e adesso anche i subalterni sembrano grigi, e le assi e le cappe e la gente, e tutto.
Tutto grigio.

Poi, Morante.

Lasciamo perdere la faena, inutile raccontarla. Impossibile tradurla.
E’ poesia, ispirazione, sentimento, e poi illusione, e sogno, e brividi. E’ un concerto di musica barocca per toro e muleta, è la vertigine inebriante dei passi in vortice, è il profumo sivigliano di quelle fioriture, è sospensione del tempo. Si annichilisce la ragione, è la dittatura del cuore.
E’ il flusso sciolto e imprevedibile della sensibiltà, è l’accoppiamento perfetto e impensabile di uomo e toro, è armonia e virilità.
E’ La Gracia de Dios, è l’arte più grande ed eterna.
Non leggetene, non cercatene notizie: non si può cantarla oggi, come non lo si poteva fare quel giorno all’uscita dall’arena, e non si potrà farlo tra trent’anni.
Lasciamola lì a vivere ancora tra i granelli della sabbia cinerea che ne custodiscono il segreto, e nelle memorie di chi c’era.

Il prima e il dopo, l’inizio e la fine della storia.
In quello, in quello c’è tutto.

Cacareo vaga per il ruedo, il pubblico lo vuole rientrare.

Matías González, seduto al posto di comando là in alto, lo tiene in pista; Morante, nel suo verde brillante che fa a pugni con il nero della rena, non lo perde di vista un solo momento.
E comincia a raccontare il suo romanzo.
La muleta tenuta nelle due mani, il corpo chinato e basso, le gambe allungate, i movimenti grevi: otto passi con il panno rosso che pesa 542 chili come tutto Cacareo, che piegano e annichiliscono il toro, che confondono una plaza intera. Otto passi per portare la bestia via dalle assi, per sottometterla ed educarla, per raccontarle una storia nuova; otto passi e le braccia che si curvano perché in quella muleta c’è il fardello di tutta Vistalegre e di tutta Bilbao e di tutta la Spagna, c’è la responsabilità della storia intera della tauromachia, c’è l’essenza e il senso della lotta tra l’uomo e il toro e l’inesauribile fede nella vittoria della ragione, otto passi e uno sforzo colossale e maestoso.
Il corpo che si flette e si abbassa e si congiunge al profilo dell’animale, lo emula e lo costringe, lo avvilisce e infine si impone, lo umilia, lo persuade.
In due, in due soli in quella cattedrale pagana in cui ora tutti recitano l’hallelujah non hanno mai perso la fede: il presidente e il torero.
Gli unici a capire cosa sta succedendo e, forse, a capire come proseguirà quel racconto.
Tutti gli altri sono folgorati, inebetiti e pure ancora scettici: l’uomo gira per un attimo la schiena al toro e tutti si dicono ecco il Morante che abdica, accorcia, tronca.
Ancora fischi.
Poi, il miracolo.
Morante offre la muleta al corno destro di Cacareo, e il corno destro di Cacareo si trascina dietro Cacareo intero e si abbandona a quell’offerta perché Cacareo è vinto, Cacareo ora è toro, Cacareo dopo quegli schiaffoni portati con le braccia che erano d’acciaio e i polsi che erano vangelo ora è pronto ad ascoltare quella storia.
Sette passi a destra, inspiegabili, e un passo col petto a sinistra.
Morante.

In mezzo, la faena sulle due mani con i molinetes e i pechos e i trincherazos e quel cambio di mano e tutta la liturgia.

E poi la fine, prima della spada.
La muleta brandita a due mani e comandata sopra la testa del toro, ancora quel senso di gravità nei gesti e di assurda pesantezza degli strumenti, ayudados por lo alto che sembrano la copia perfetta di una stampa color seppia di cent’anni fa.
E’ la toreria eterna, è la toreria maschia e dominatrice, è l’omaggio e la celebrazione della tauromachia.
Passi con la spada in alto, il corpo obliquo cargando la suerte, la gamba fuori e il mento sul petto, indicando e obbligando l’uscita.

Estoconazo sin puntilla.
Due orecchie.
Estasi.

 

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Bilbao, 23 agosto 2011 – corrida di Nuñez del Cuvillo, quarta di feria. Corrida appassionante, tori con motore e sprazzi di casta vera e bravura viva. Morante de la Puebla (ovazione, due orecchie), José María Manzanares (ovazione, orecchia), David Mora (ovazione, ovazione). Note: dal 2007 non si concedevano a Bilbao le due orecchie (El Cid/Victorino); David Mora in infermeria per cornata superficiale alla zona dello scroto.

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